Pinamonti e la parabola del centravanti: meno egoismo, più gol

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L'attaccante del Sassuolo ha dimostrato che il centravanti non si misura solo dalle reti segnate: due assist ai compagni e due gol 

La conoscete quella del tipo che va all’inferno e vede i dannati che pranzano a un tavolone? Impugnano tutti cucchiai di legno dal manico lungo un metro e cercano di raccogliere del riso dalla loro ciotola, ma s’intralciano a vicenda, litigano, s’azzuffano, le ciotole si rovesciano, nessuno riesce a mangiare. Poi il tipo sale in paradiso e vede i beati seduti allo stesso tavolo con gli stessi cucchiai. Ognuno imbocca il dirimpettaio e tutti si saziano in beata armonia. La versione moderna della parabola andata in scena a San Siro. 

il cucchiaio lungo 

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Ci sono centravanti che, se non ricevono palla, s’innervosiscono, sbuffano, si sbracciano e, quando la ricevono, cercano subito la porta. Vlahovic? E poi c’è il Pinamonti di domenica. Tiri in porta, fuori o respinti: zero. Palloni giocati: 17, meno di tutti. Ma, invece di sbuffare, è rimasto concentrato, come un surfista che aspetta l’onda buona. Gliene sono arrivate due. Non onde: sponde. Con la prima ha mandato in gol Koné, con la seconda Laurienté. Due tocchi, due gol. Ha imboccato i compagni con il cucchiaio lungo e il Sassuolo si è sentito in paradiso. La sponda è un arnese antico diventato tremendamente moderno nel calcio dei blocchi bassi e degli spazi angusti: un tocco di prima, con sensibilità e tempismo, alla Pina, può essere l’”Apriti sesamo!”. In un centravanti l’egoismo è virtù, quasi mai peccato. Barone aspetta ancora quel passaggio di Inzaghi. Ma, nell’ex tempio di Pippo, Signore del gol, Pinamonti ha dimostrato che si può essere felici anche di sponda. In uno sport di squadra, la scelta più generosa è spesso la migliore. Anche nella vita.

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