(di Alessandra Baldini)
Un saggio sul New Yorker getta
ombre su Oliver Sacks: il celebre neurologo di Risvegli e l'Uomo
che Scambiò la Moglie per un Cappello avrebbe abbellito e
proiettato se stesso nei casi clinici al centro dei suoi celebri
saggi.
Morto nel 2015 a 85 anni e solo da ottuagenuario in grado di
rivelare in pubblico di essere gay, Sacks per decenni è stato
considerato un medico-scrittore capace di trasformare casi
clinici in parabole umane, restituendo la dignità a pazienti
spesso confinati ai margini della neurologia. L'anno scorso le
sue carte sono state consegnate alla New York Public Library ed
è sulla base degli scritti del neurologo e di altre
testimonianze che il New Yorker getta una luce più complessa sul
suo lavoro. Secondo la rivista, Sacks drammatizzò e talvolta
inventò elementi delle storie che lo hanno reso celebre - un
esempio per sua ammissione "flagrante" è quello dei gemelli
autistici capaci di creare sequenze di numeri primi in L'Uomo
che Scambiò la Moglie per un Cappello - proiettando nei suoi
pazienti conflitti interiori, solitudini e ferite che lo
portarono sul divano dell'analista praticamente fino alla morte.
Molti pazienti si riconobbero nei ritratti di Sacks e gli
rimasero affezionati per anni. Uno di loro, Mort Doran, il
chirurgo con la sindrome di Tourette descritto in L'Antropologo
su Marte, aveva notato un particolare falso nella descrizione
del suo caso ma lasciò correre pensando che "forse è quel che
fanno gli scrittori". Eppure, come notò la moglie del
protagonista del racconto che dà il titolo a L'Uomo che Scambio'
la Moglie per un Cappello, le interpretazioni del medico
potevano divergere sensibilmente dalla realtà clinica. Sacks,
scrive il New Yorker, ammise più volte nei suoi diari di aver
"commesso errori" e di aver provato "un severo e duraturo
auto-rimprovero" per come negli anni Settanta aveva raccontato i
pazienti di Risvegli, il libro che lo rese famoso e che fu
portato al cinema da Robin Williams e Robert De Niro nonostante
la diffidenza della comunità neurologica. La tensione tra
accuratezza clinica e invenzione letteraria era ben presente al
neurologo che nei diari definiva il successo di Cappello una
fonte di "colpa ancora maggiore".
Il nuovo ritratto non cancella i meriti di Sacks: un ponte
tra medicina e umanesimo che ha permesso a milioni di lettori di
comprendere e rispettare persone affette da disturbi
stigmatizzati. Secondo il New Yorker fu la vocazione letteraria
che condusse Sacks a romanzare l'esperienza clinica piegandola
al bisogno emotivo di dare un senso alla propria storia
personale. In una lettera al fratello Marcus, Sacks definisce
Cappello "un libro metà scienza e metà fiabe, ma con una sua
fedeltà" e aggiunge: "È quello che faccio per tenere lontani i
demoni della solitudine, della noia e della disperazione". Molti
pazienti - scrive il settimanale - avrebbero funzionato come
specchi nei quali il medico rifletteva lo sforzo inconscio di
rappresentare la sua sensazione di essere "sepolto vivo" negli
anni più difficili quando, su pressione di una madre omofoba,
aveva respinto la propria omosessualità.
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