Prima a Palazzo Chigi per fare il punto sul Piano Trump di pace, poi ad Atreju sotto le mura di Castel Sant'Angelo a raccogliere gli applausi del popolo della destra, domani sulla collina di Monte Mario per un confronto con l'opposizione di centrosinistra: la due giorni di Abu Mazen a Roma non è solo l'occasione per il novantenne capo dell'Autorità Nazionale Palestinese per rimarcare "la profondità dell'amicizia tra i nostri due popoli" e per ringraziare l'Italia per gli aiuti alle popolazioni stremate di Gaza.
E' anche, e soprattutto, il proseguimento di una traiettoria che il governo italiano sta tracciando da mesi col compasso attentamente puntato tra Washington e Gerusalemme Est, lì dove l'Anp vorrebbe la capitale di uno Stato che ancora non c'è. Un cerchio che potrebbe chiudersi con un seggio tricolore nel Board of Peace voluto dalla Casa Bianca per la transizione. La lettera di invito per Roma, risultava ieri ad Axios, sarebbe già partita da Washington. Ed è sempre il sito di news americano che oggi dà conto di un 'ultimatum' degli Usa: se i paesi europei non invieranno soldati nella Striscia o non sosterranno i paesi che lo faranno, l'Idf non si ritirerà da Gaza. La partita, dunque, corre su più binari. Meloni, pur non avendo ancora riconosciuto lo Stato di Palestina - la linea della Farnesina è 'solo quando ci saranno le condizioni' - invitando a Palazzo Chigi il leader dell'Anp conferma di fatto il percorso. Insieme, fa sapere una nota, i due leader hanno concordato sulla "necessità di consolidare il cessate il fuoco attraverso la piena attuazione del Piano di Pace".
La premier, inoltre, "ha ribadito la determinazione a svolgere un ruolo di primo piano nella stabilizzazione e ricostruzione di Gaza" ma anche nel "supporto al programma di riforme dell'Anp", ricevendo "il pieno sostegno del presidente Abbas". Il quale incassa anche, nei padiglioni di Atreju, una legittimazione politica. Lo accompagna e lo introduce sul palco la stessa Meloni: la sua partecipazione, dice, dimostra quanto l'Italia sia stata "centrale e protagonista" sia nella crisi sia "nel difficile percorso verso la pace con la prospettiva dei due Stati. E fa giustizia - rivendica ancora la premier - di tante falsità che abbiamo sentito sul governo negli ultimi due anni". Abu Mazen è abile a leggere la stanza: ringrazia non solo Meloni, ma anche "la leadership di Fratelli d'Italia", augura finanche "buon Natale" e strappa l'applauso più sincero quando cita "la patria", la sua, dove vuole "vivere con libertà e dignità". Ribadisce la sua disponibilità alle elezioni, "parlamentari e presidenziali", ma la linea resta la stessa di sempre: "L'assenza di uno Stato palestinese è fonte di instabilità del territorio e di estremismo che influenza tutta la sicurezza della regione". Un messaggio va ad Hamas (le armi, nella Palestina che verrà, "saranno solo nelle mani delle autorità legittime"), un altro va a Israele ("non saremo una preoccupazione securitaria per nessuno"). Ai padroni di casa italiani chiede di "proseguire lungo il tracciato" del riconoscimento della Palestina"
. E mentre Abu Mazen lascia Atreju, ci pensa Gianfranco Fini - in platea con lo stato maggiore di FdI - a voler interpretare la continuità storica dei rapporti tra destra italiana e causa palestinese: "La Russa mi è buon testimone - dice Fini - Fin dai tempi del Fronte della Gioventù organizzavamo manifestazioni per la libertà del popolo palestinese, ovviamente insieme al sacrosanto diritto di Israele di esistere". Ora per il leader palestinese l'appuntamento è con i leader del centrosinistra: Elly Schlein del Pd, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni di Avs e Giuseppe Conte del M5s, in un hotel sulla vetta di Monte Mario. Tre incontri separati, come fanno sapere i partiti del campo largo.o stato che rigetta la violenza, così come fa l'Italia. Confermiamo che vogliamo favorire un processo elettorale, sia parlamentare che presidenziale", ha detto il leader palestinese.
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